La Sindrome CDKL5 è una patologia che ha alcune similitudini con la sindrome di Rett classica
dovuta alle mutazioni di MeCP2 di cui in passato era considerata una variante. Rispetto alla Rett classica però, le conoscenze dei meccanismi che generano la sindrome CDKL5 sono meno avanzati, sia perché l’identificazione del gene la cui mutazione è responsabile è avvenuta più recentemente, sia perchè i modelli animali che esprimono le mutazioni patologiche di CDKL5 sono disponibili da soli cinque anni e sono studiati da un numero di laboratori relativamente basso. Sappiamo quindi molto poco sulle conseguenzedellamutazioneCDKL5a livello neuronale. Queste conoscenze sarebbero molto utili in quanto possono essere utilizzate per comprendere i meccanismi difettosi ed eventualmente correggerli, e per ottenere buoni biomarcatori per monitorare lo stato dei circuiti neuronali durante lo sviluppo o dopo i trattamenti in modelli della patologia o nei pazienti.
Gli studi del nostro laboratorio hanno analizzato in primo luogo le spine dendritiche, ovvero le parti del neurone su cui si trovano la maggior parte delle sinapsi e che permettono la comunicazione tra i neuroni. L’esigenza di questo studio deriva dalla mancanza di degenerazione neuronale nel disturbo CDKL5, che ci induce a ipotizzare che i sintomi derivino da alterazioni dei meccanismi di comunicazione neuronale piuttosto che nella perdita dei neuroni stessi.
Utilizzando un metodo di imaging (2-photon imaging) che consente di ripetere la visualizzazione degli stessi neuroni nel tempo, possiamo osservare che le spine dendritiche del modello animale di sindrome CDKL5 si formano normalmente, ma non si stabilizzano e tendono ad essere perdute in modo eccessivo. Ciò si verifica in gran parte durante lo sviluppo ma anche negli adulti.
Applicando IGF-1 nei topi CDKL5 adulti abbiamo reso le spine dendritiche più resistenti e siamo riusciti a rimediare almeno in parte alle loro alterazioni biochimiche. Abbiamo quindi verificato se il danno alla spina dendritica fosse accompagnata da cambiamenti funzionali nella comunicazione neuronale. Usando metodi elettrofisiologici abbiamo scoperto che la comunicazione neuronale è ridotta e non è in grado di adattarsi ai cambiamenti nell’attività, una proprietà chiamata plasticità importante per l’apprendimento.
Un successivo studio ha mirato ad analizzare il comportamento integrato dei circuiti nella corteccia cerebrale dei mutanti CDKL5, esaminando le risposte visive in diverse fasi di sviluppo. Le risposte visive possono essere monitorate in modo oggettivo e non invasivo sia negli esseri umani che nei topi. Inoltre, delle alterazioni visive di origine corticale sono state riportate nei pazienti CDKL5. Abbiamo riscontrato che le risposte visive sono inizialmente normali ma non si sviluppano sia nei topi maschi senza CDKL5 che nelle femmine con espressione a mosaico di CDKL5.
Il modello animale con mutazione CDKL5 è anche utilizzato per la valutazione di terapie sperimentali. Queste analisi hanno portato fornito prove sperimentali sufficienti sulle prospettive della terapia sostitutiva del CDKL5 tali che una ditta farmaceutica americana, la Amicus, ha deciso di acquistare il brevetto mondiale e cercare di sviluppare questo approccio sperimentale in una possibile terapia. La terapia sostitutiva permetterebbe di far arrivare una quota di proteina CDKL5 alle cellule cerebrali sofferenti e, grazie ai sostanziosi investimenti della Amicus, si studieranno modifiche di questo approccio mirate a renderlo più attuabile anche nell’uomo. In particolare, occorre ancora migliorare l’arrivo della proteina CDKL5 ai neuroni dopo la sua iniezione nel circolo sanguigno e saranno necessarie prove cliniche nell’uomo.
In sintesi, gli ultimi studi sulla sindrome CDKL5 hanno mostrato che le cortecce sensoriali dei topi CDKL5 mostrano chiare anomalie morfofunzionali che possono essere revertite. Inoltre, i meccanismi molecolari coinvolti nella stabilizzazione sinaptica sono massimamente colpiti dalla perdita di CDKL5 e sono stati messi a punto test non invasivi e di alta fattibilità che possono essere usati nell’animale e nell’uomo e che hanno mostrato deficit progressivi della malattia. Quindi, molti fenotipi a diversi livelli (funzionali, morfologici, comportamentali) sono ora disponibili per i test preclinici di nuovi trattamenti.