Perdita e riacquisto del cammino nella Sindrome di Rett

L’esperienza clinica suggerisce che molte persone con Sindrome di Rett (RTT) in grado di camminare, sperimentano episodi di perdita e recupero della de ambulazione. Tuttavia, questo fenomeno è poco descritto in letteratura e, pertanto, i caregiver e i professionisti sanitari che lavorano con questa popolazione potrebbero presumere che, una volta persa la deambulazione, questa non possa più essere recuperata.

Perché è importante camminare per le ragazze e donne con Sindrome di Rett?

In generale, è importante impedire a ogni persona di vivere uno stile di vita sedentario [1]. Camminare è un’attività fisica di base che consente sia il mantenimento della forma fisica che l’acquisizione di un livello di funzionalità avanzato. Tutti gli individui, ed in particolare coloro con disabilità, traggono vantaggio dalla capacità di camminare. È stato riscontrato che la deambulazione consente di proteggere i movimenti articolari degli arti inferiori e della schiena [2], aumenta la forza muscolare degli arti inferiori [3,4], migliora il funzionamento del sistema polmonare [5] e può migliorare la funzionalità del sistema cardiovascolare [3,4]. Inoltre, camminare aumenta il flusso sanguigno agli organi interni permettendo di alleviare la stitichezza [6]. La deambulazione si è dimostrata estremamente utile anche per gli individui con RTT [7]. Nello specifico, negli individui con RTT è stata individuata una correlazione inversa tra il livello di mobilità ed il rischio di sviluppo di scoliosi [8]. Ancora, la deambulazione su tapis roulant può contribuire a regolare il respiro delle persone con RTT [9]. Non di meno, l’osteoporosi, un altro aspetto noto della RTT, è ridotta nelle persone di questa popolazione che mostrano la capacità di camminare [10].

Mobilità e deambulazione nella Sindrome di Rett

Camminare è un’abilità che richiede forza muscolare, organizzazione sensoriale e coordinazione del tronco e degli arti in posizione eretta durante il movimento. Nonostante le difficoltà nella maggior parte di queste aree, la maggior parte delle persone con RTT raggiunge la deambulazione. Tuttavia, alcuni non imparano a camminare mentre altri acquisiscono la capacità di camminare e la perdono più tardi nella vita. Nella maggior parte dei bambini con RTT è presente un ritardo dello sviluppo motorio e la deambulazione avviene con sostegno. È da tenere a mente però che, man mano che il bambino diventa più grande e pesante, diviene sempre più difficile per i caregiver fornire l’aiuto necessario. Pertanto, negli adulti con RTT, camminare ha un significato ancora maggiore poiché perdere le capacità di deambulazione rende la persona più difficile da gestire. Più la donna adulta con RTT è dipendente da aiuti esterni per camminare, o è dipendente da accessori pesanti, più i suoi ambienti di vita potenziali vengono ridotti con una conseguente riduzione delle possibilità di esperienza e socializzazione fondamentali per le persone con RTT così appassionate di contatti sociali. I problemi motori e/o sensoriali che sono tipici della RTT e che potrebbero influenzare la capacità di deambulazione sono: alterazione e fluttuazione del tono muscolare (ipotonia, ipertonia, rigidità e distonie); atassia (ridotta coordinazione muscolare); aprassia (difficoltà nella pianificazione e nell’esecuzione di compiti motori); difficoltà di orientamento spaziale e integrazione delle informazioni sensoriali provenienti dal corpo e problemi ortopedici (scoliosi, cifosi e deformità dei piedi e delle gambe) [11].
A causa delle molteplici sfide affrontate dalla persona con RTT e dalla sua famiglia, si raccomanda di applicare un intervento multidisciplinare per far fronte alla vasta sintomatologia presentata dalle persone con diagnosi di questo disturbo. Una collaborazione congiunta di terapisti di varie discipline, dove ognuno porta le sue conoscenze apprese e l’esperienza clinica acquisita, può far progredire la persona con RTT verso il raggiungimento delle sue migliori capacità. Può essere che la gravità dell’espressione fenotipica del disturbo non possa essere cambiata, ma la qualità della vita della persona e della sua famiglia può essere migliorata se l’intervento terapeutico è abbastanza intenso e adattato individualmente alle esigenze di ogni utente. Il presente articolo si concentrerà sulla perdita e il recupero della deambulazione nella popolazione con RTT.
La letteratura scientifica, negli ultimi anni, si sta arricchendo della descrizione di diversi casi di studio che iportano come la deambulazione, autonoma o con sostegno, possa essere ripristinata dopo episodi di perdita di questa abilità attraverso un’intensa attività riabilitativa.
Un’intervista semi-strutturata riguardante gli episodi di perdita ed eventuale recupero del cammino è stata condotta con 49 genitori di ragazze e donne con RTT che mostravano una deambulazione indipendente. In questa indagine, 36 famiglie su 49 (73,5%) hanno riportato episodi anche multipli di perdita e recupero della deambulazione autonoma. Le partecipanti allo studio hanno sperimentato la perdita della capacità di camminare in diverse fasi della loro vita dall’infanzia all’età adulta con una media di comparsa degli episodi all’età di 11,2 anni. Le cause attribuibili alla perdita della deambulazione autonoma che sono state riferite dalle famiglie sono state relative a motivazioni ortopediche (es. fratture o interventi correttivi con ospedalizzazione e assenza del carico sugli arti inferiori) (24%), neurologiche (es. esordio di crisi epilettiche) (17%), patologico/ mediche (es. periodi di ospedalizzazione, difficoltà di alimentazione, patologie respiratorie) (15%), sensoriali (es. esordio di disturbi della percezione) (15%), emotive (es. depressione) (11%), iatrogene (es. dovute ad effetti collaterali di terapie farmacologiche) (9%), miste (3%). In tutti i casi, i genitori erano in grado di riportare una chiara idea dell’elemento scatenante della perdita del cammino e, confrontandosi con i professionisti di riferimento, sono stati in grado di identificarla e affrontarla. La ripresa della deambulazione in questi casi è stata ottenuta dopo una media di 193 giorni grazie a un intervento, avviato dai genitori o dai professionisti sanitari, finalizzato a contenere le cause di riduzione dell’abilità di cammino ed esporre nuovamente le ragazze al carico sugli arti inferiori e all’esercizio intensivo di questa abilità. Tali risultati suggeriscono che la perdita e il recupero della deambulazione indipendente è un fenomeno comune nella RTT. A supporto di questa tesi, la letteratura presenta anche tre casi studio in cui le donne con RTT, che avevano smesso di camminare, hanno riacquistato le capacità di deambulazione in età avanzata dopo un intenso programma di attività.
Il primo caso di studio [12] descrive una donna che ha smesso di camminare all’età di 21 anni quando si è trasferita in un ambiente residenziale e dopo un costante declino di questa abilità. Quando la donna ha compiuto 40 anni, uno dei membri dello staff riferì che in diverse occasioni aveva notato che cercava di mettere i piedi sul pavimento quando veniva aiutata a spostarsi dalla sedia a rotelle a un’altra posizione e contattò il fisioterapista del centro. Quest’ultimo osservando il potenziale della donna di riacquisire il cammino, avviò un intervento intensivo e mirato al riacquisto del cammino. Al primo tentativo, dopo 21 anni senza camminare, la donna aveva mosso alcuni passi, ma aveva bisogno di un supporto continuo e abbondante. Dopo tre anni di programma intensivo di cammino, all’età di 43 anni, era in grado di camminare in autonomia seppur con pause frequenti. L’articolo riporta che la donna ha mantenuto l’abilità di cammino per il resto della vita seppur necessitando di sostegno al termine dell’intervento intensivo. Gli autori ipotizzano che la combinazione di aprassia e mancanza di allenamento sia stata la causa della perdita delle sue capacità di deambulazione. Pertanto, quando le si è presentata la possibilità di camminare, le sue capacità sono riemerse.
Un secondo caso di studio [13] descrive una donna di 52 anni con RTT che aveva iniziato a deambulare in modo indipendente all’età di 18 mesi e che, all’età di 10 anni, aveva bisogno di supporto per camminare. Quando aveva 18 anni, la ragazza era stata sottoposta ad intervento chirurgico per correggere una deformità dei piedi e, visto che il problema si era riproposto, lo stesso intervento era stato riconsiderato all’età di 21 anni quando, a causa della deformità, aveva perso il cammino. Il chirurgo ortopedico e i suoi genitori avevano deciso di evitare di ripetere l’intervento chirurgico visti gli scarsi risultati del precedente. Tuttavia, nessun intervento riabilitativo particolare era stato implementato prima o dopo il precedente intervento. Quando la donna ha compiuto 36 anni, è stata condotta una valutazione riabilitativa che ha suggerito che un nuovo intervento chirurgico di correzione delle deformità del piede avrebbe potuto consentire una nuova possibilità di camminare. Dopo l’intervento sono stati preparati dei tutori in plastica per le gambe ed è stato immediatamente iniziato un programma intensivo di verticalizzazione e deambulazione e, dopo alcuni mesi di trattamento, è stata in grado di camminare per 50 passi solo leggermente sostenuta. Inoltre, esercitando continuamente il cammino, le deformità del piede non si sono ripresentate.

In un altro caso [14], una ragazza in grado di deambulare in autonomia aveva iniziato a sviluppare un aumento del tono muscolare e rigidità degli arti in flessione. Questi cambiamenti hanno rapidamente portato ad una riduzione della sua capacità di deambulare fino alla sua completa perdita (l’età dell’interruzione del cammino non è stata riportata). Di conseguenza, per fronteggiare l’aumento del tono muscolare, le è stata prescritta una terapia miorilassante e un sistema di postura seduta. A cinque anni di distanza, la ragazza mostrava rigidità degli arti e del tronco con un estremo accorciamento muscolare, estese contratture e un’importante cifosi. In questa circostanza, è stato avviato per lei un intenso intervento riabilitativo e, in fase di valutazione, si è riscontrato che la sua principale difficoltà era la disorganizzazione sensoriale (che scatenava l’ipertono) e che, quando gli veniva concesso abbastanza tempo in posizione eretta, era in grado di stare in piedi in autonomia (con stretta supervisione), seppur mantenendo una forte rigidità degli arti in flessione. Il programma di intervento proposto comprendeva attività quotidiane svolte dai caregiver quali sdraiarsi a pancia in giù (per allungare i muscoli anteriori del tronco) ed esercizi di verticalizzazione e deambulazione. In più, venivano svolte sessioni di fisioterapia individuale due volte a settimana nelle quali venivano svolte attività finalizzate al mantenimento e al miglioramento della mobilità del tronco e degli arti, all’allenamento dell’equilibrio e della deambulazione e alla salita e discesa delle scale. Sei mesi dopo l’avvio dell’intervento la ragazza era di nuovo in grado di muovere alcuni passi, seppur lentamente, in autonomia (con stretta supervisione), riusciva a fare tre passi e si fermava e aveva bisogno di ulteriore incoraggiamento e di un leggero tocco per continuare con i tre passi successivi. Il programma è stato quindi adattato per ridurre l’utilizzo del sistema di postura, introdurre un deambulatore adatto a lei e aumentare le opportunità di cammino nella sua giornata. Dopo tre anni all’interno di questo programma, si osservava una considerevole riduzione della rigidità muscolare e un aumento della mobilità articolare e la ragazza svolgeva tutte le sue transizioni nel suo ambiente di vita camminando con il deambulatore. Inoltre, era in grado di scendere e salire le scale in piedi con aiuto del terapista.
Le informazioni descritte suggeriscono che, in accordo con la letteratura di riferimento, la perdita dell’abilità di cammino è comune tra le persone con RTT, ma anche che, attraverso l’identificazione e la presa in carico delle cause e un intenso e quotidiano programma di riesposizione al carico sugli arti inferiori e alla deambulazione, questa abilità può essere ripristinata. A causa delle note conseguenze negative della passività e dell’immobilità [1] e dell’influenza positiva dei programmi di attività sulla morbilità degli individui con disabilità [2-10], è essenziale che gli individui con RTT siano mantenuti attivi per tutta la vita. I casi di studio qui descritti dovrebbero incoraggiare i professionisti sanitari che lavorano con questa popolazione a investire le proprie capacità professionali nell’impedire a questo gruppo di utenti di perdere la deambulazione e a mettere in atto tutte le strategie e i tentativi necessari a provarne il recupero laddove l’abilità venga persa. Si ricorda che la RTT è definita oggi come un “disturbo dello sviluppo” (in contrasto con la sua definizione precedente: “disturbo degenerativo”). Questo cambiamento di prospettiva sottolinea l’importanza di non arrendersi al declino delle abilità funzionali delle ragazze, ma di strutturare le loro attività quotidiane in modo da mantenere sempre quanto più alto possibile il loro livello di attività fisica e in esercizio le abilità residue.

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