Neuroni derivati da cellule staminali pluripotenti indotte che esprimono varianti hot-spot del gene MECP2 rappresentative di quadri clinici di varia gravità

A cura di Silvia Russo, Laboratorio di Ricerche Sperimentali di Citogenetica Medica e Genetica Molecolare, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Milano

La forma classica della Sindrome di Rett è causata principalmente dalla presenza di varianti patogenetiche nel gene MECP2, un gene localizzato sul cromosoma X che produce una proteina molto abbondante nei neuroni del cervello. Le varianti descritte nel gene MECP2 sono più di 500, ma tra queste, otto sono particolarmente frequenti (hot-spot) determinando da sole la comparsa della malattia nel 60% delle bambine con Sindrome di Rett (RTT). Le hot-spot sono rappresentative di uno spettro clinico molto eterogeneo, da grave/moderato (p.Arg106Trp, p.Arg168*, p.Arg255*, p.Thr158Met, p.Arg270*) a più lieve (p.Arg133Cys, p.Arg294*, p.Arg306Cys).
Negli ultimi dieci anni la ricerca sulla RTT si è avvalsa della possibilità di generare, a partire dai fibroblasti delle pazienti, cellule staminali pluripotenti indotte (IPSCs), ossia cellule simili alle cellule staminali, che possono successivamente essere indotte differenziarsi in quasi qualunque tipo cellulare. Si vengono a creare modelli cellulari in vitro paziente-specifici di grande utilità, sia per comprendere la malattia, sia per lo studio di nuove terapie. Tuttavia, sono ancora pochissimi i modelli neuronali derivati da iPSCs ottenuti da ragazze RTT con varianti hot-spot e da individui maschi con varianti nel gene MECP2 riportati in letteratura.

Presso il laboratorio dell’Istituto Auxologico, avvalendosi della collaborazione con AIRETT e con i clinici dell’ospedale San Paolo, che seguono un’ampia casistica di pazienti RTT, abbiamo provato a colmare questo vuoto, focalizzandoci sulle varianti p.Arg168*, p.Arg133* e p.Arg255*. La scelta è derivata dal fatto che per tali varianti, all’avvio del progetto, non vi erano studi su neuroni derivati da iPSCs. La generazione delle iPSCs è stata eseguita, non da una biopsia di fibroblasti, ma da un semplice prelievo di sangue, da cui è stato isolato l’anello di linfociti. Dobbiamo fare una premessa: il cromosoma X nelle persone di sesso femminile è presente in duplice copia, ma, per un meccanismo chiamato inattivazione del cromosoma X, in ogni cellula solo una copia è funzionante. Per questa ragione, nelle bimbe RTT il 50% ca delle cellule è atteso produrre la proteina MeCP2 funzionante, e la restante metà la proteina MeCP2 difettosa oppure nessuna proteina. Grazie a tale meccanismo, è possibile ottenere sia cloni iPSCs sani definiti “controlli isogenici”, sia cloni iPSCs che esprimono la mutazione.

Si possono così valutare le differenze morfologiche e funzionali nei neuroni con e senza il difetto genetico. A tal proposito sono state reclutate 3 bambine portatrici della variante p.Arg168*, 6 con la variante p.Arg255* e 3 con la variante p.Arg133Cys; inoltre abbiamo inserito nello studio un piccolo paziente maschio, purtroppo deceduto a 16 mesi, con la mutazione p.Gly252Argfs*7, molto simile alla variante p.Arg255*. La valutazione dell’inattivazione del cromosoma X ha subito evidenziato uno sbilanciamento a favore dell’allele normale, nelle 2 bambine con la variante p.Arg168* e in 4/6 con la p.Arg255, suggerendo l’ipotesi che nel sangue delle pazienti con le varianti più severe fosse espresso solo l’allele sano, per una sorta di meccanismo di protezione. Una rivalutazione clinica delle nostre pazienti (effettuata dalle dott.sse A. Vignoli ed A. Peron) ha confermato la corrispondenza tra la severità delle varianti e il loro punteggio CSS (scala clinica di severità per la Rett).
Il confronto tra i neuroni ottenuti dalle diverse varianti è stato eseguito sia in neuroni giovani ai primi stadi del differenziamento, valutando parametri morfologici, sia in neuroni maturi dove in collaborazione con il prof Tommaso Pizzorusso (CNR-Pisa) e il suo team sono state eseguite le registrazioni di elettrofisiologia. Abbiamo eseguito numerosi confronti: a) ove possibile in ogni paziente RTT, il clone derivato dalla mutazione con quello derivato dall’allele normale, b) le pazienti RTT con l’insieme dei controlli normali, derivati da individui sani e c) questi ultimi con i controlli isogenici derivati dalle bambine Rett. Il clone derivato dal maschio RTT non poteva avere un controllo isogenico, avendo un solo cromosoma X, ma è stato inserito nei confronti con la popolazione di neuroni sani e con le pazienti. A nostra conoscenza, uno studio delle alterazioni morfologiche ad uno stadio così precoce non era ancora stato riportato. Si è confermata la ridotta complessità morfologica già descritta a stadi più tardivi; tuttavia, la riduzione della lunghezza dei neuroni e della dimensione del nucleo, a questo stadio precoce è stata confermata solo per le varianti p.Arg255* e p.Gly252Argfs*7. Per questi ultimi parametri, i neuroni derivati dalle pazienti con p.Arg133Cys presentavano minori differenze rispetto ai controlli e non li presentavano rispetto al proprio controllo isogenico sano, evidenziando come il difetto morfologico insorga più precocemente nelle varianti più severe di MeCP2 e possa essere un robusto biomarcatore per distinguere la severità delle varianti stesse.

Nei neuroni a 100 giorni delle stesse pazienti abbiamo verificato, sia con immunofluorescenza che con Western blot, la presenza della proteina alterata nelle varianti troncanti p.Arg255* e p.Gly252Argfs*7. L’uso del doppio anticorpo N-ter e C-ter ci mostra (vedi figura in alto) come in queste cellule la proteina sia effettivamente più corta, ma non degradata e si localizzi comunque all’interno del nucleo, anche se la mutazione avviene proprio all’interno del segnale di localizzazione nucleare. Nell’ipotesi di un trattamento epigenetico, che riattivi il cromosoma X, lo studio della proteina potrebbe permettere per tali mutazioni di verificare, anche se non quantitativamente, la comparsa della proteina normale. (Figura 1) La presenza della proteina MeCP2 all’interno del nucleo è evidenziata dal colore rosso dell’anticorpo, che rimane blu se l’anticorpo non è presente. Usando un anticorpo che si lega alla parte iniziale ed uno che si lega alla parte terminale della proteina MeCP2, abbiamo potuto dimostrare che la proteina tronca p.Arg255* (espresso dai cloni PtA- 1mut) è effettivamente presente nel nucleo ed è priva della parte terminale (nucleo blu). PtY= neuroni derivati dal paziente maschio, 1 e 2 sono due diversi cloni. PtA1-wt/mut= neuroni derivati dalla paziente con variante p.Arg255* rispettivamente senza/con mutazione PtB1-wt/mut= neuroni derivati dalla paziente con variante p.Arg133Cys rispettivamente senza/con mutazione
A 120 giorni, quando i nostri neuroni dovrebbero essere maturi e funzionali, sono state eseguite registrazioni con metodo patch-clamp per valutare le proprietà biofisiche della cellula, le correnti a voltaggio ionico ed il profilo di spiking nei neuroni che esprimono il difetto genetico rispetto ai corrispondenti isogenici sani della stessa paziente e rispetto ai controlli sani. I neuroni RTT hanno evidenziato una percentuale molto minore di cellule capaci di generare spiking maturi, una capacità cellulare e resistenza di membrana alterate, con una più grave compromissione nelle cellule derivate dal maschio RTT e nelle pazienti con variante p.Arg255*.
Il nostro lavoro, ora sottoposto ad una rivista scientifica, dimostra come il modello cellulare in vitro possa rispecchiare la severità clinica della malattia ed essere un utile supporto alla studio di farmaci per studi traslazionali.

Hanno lavorato a questo progetto oltre a me e alle persone già citate nel testo Sara Perego, Valentina Alari, Gianluca Pietra, Andrea Lamperti, Alessandro Vimercati, Nicole Camporeale, Maria Garzo, Francesca Cogliati, Donatella Milani e Lidia Larizza.

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