Idrochinesiologia: esperienza terapeutica altamente integrante

Convegno Lido di Camaiore 11 e 12 giugno 2005

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L’acqua come elemento che facilita il movimento, la relazione con il terapista e l’acquisizione della consapevolezza di sé e del proprio corpo: tre casi dimostrano come l’idroterapia sia un trattamento fondamentale nella cura della malattia

Con questa relazione cercherò di seguire il filo conduttore del costrutto teorico del trattamento in acqua a 32°-34° C., aspetto peculiare che rende questo ambiente particolarmente gratificante, piacevole ed empatico. Inoltre proverò a descrivere ciò che si è visto nei filmati presentati al convegno “Interagendo con gli Elementi; Ricercare, coordinare e collaborare per la Sindrome di Rett”, tenutosi al Lido di Camaiore, 11-12 giugno 2005.

Premetto che questo lavoro è reso possibile dalla stretta collaborazione fra differenti figure professionali che operano all’interno dell’ambulatorio di San Donato Milanese dell’AIAS di Milano:

  • Antonio Grioni; Neuro-psichiatra infantile, Psicoterapeuta, Responsabile sanitario della struttura
  • Tina Palen; TdR, Idrochinesiologa, Terapista Watsu, Coordinatrice dei terapisti
  • Sofia Caviezel; Psicomotricista, Idrochinesiologa
  • Barbara Breganni; Psicologa, Psicomotricista.

La lunga esperienza di lavoro in acqua con bambini e adulti con patologie neurologica, neuromotoria, psichica e mentale, ci conferma che questa metodica ha alcune peculiari caratteristiche come: globalità, adattamento, complementarietà, specificità.

In un programma riabilitativo L’ACQUA è intesa sia come ambiente/contesto, sia come mezzo/strumento a disposizione del riabilitatore.

L’acqua è un elemento che facilita non solo il movimento, ma anche la relazione; in questo assolve il compito di mediatore. Tra due corpi immersi in acqua non c’è spazio vuoto, c’è sempre liquido che unisce e che divide al tempo stesso, dipende da chi lo usa.

Inoltre in acqua si realizza una rivoluzione percettiva; da una consolidata esperienza propriocettiva ad una sensibilità ritrovata di tipo esterocettivo.

Pertanto l’ambiente acquatico, essendo soggetto a continue trasformazioni del suo stato, facilita l’acquisizione della consapevolezza del sé attraverso l’abbinamento della percezione sensoriale e motoria con l’adattamento del proprio comportamento motorio. E’ un facile e piacevole stimolatore per nuovi interessi e nuovi apprendimenti. Ciò a maggior ragione perchè gli elementi nell’organizzazione degli apprendimenti sono il POTER-SAPER-VOLER FARE e implicano di:

  • Aver preso atto (CONOSCENZA) della propria realtà (schema corporeo, gesto, comportamento)
  • Aver immagazzinato la propria realtà (PENSIERO RAPPRESENTATIVO)
  • Aver un contesto di relazionalità e di intenzionalità (PROIEZIONE DI PIACERE)

Entrando nel merito della specifica esperienza con bambine Rett, il nostro contributo al convegno è stata la presentazione di filmati di trattamenti in acqua, con soggetti Rett di sesso femminile di età diverse in cui si può osservare che il progetto riabilitativo varia a seconda dei differenti bisogni delle pazienti. Ciò è dovuto sia all’età, ma anche al loro profilo funzionale, al loro sviluppo emotivo-affettivo e alle necessità sociali.

Il caso di Miriam, il cui progetto terapeutico si articola attraverso un trattamento in acqua e un intervento psicomotorio in stanza, entrambi con la terapista, signora Breganni è stato scelto per mostrare le tre fasi specifiche in cui è suddiviso il trattamento acquatico e cioè:

  1. 1. Rituale di entrata e fase di ambientamento.
  2. Fase centrale (mobilizzazione, modificazione del tono muscolare e delle posture abituali in ambiente microgravitazionale, ecc).
  3. Rilassamento e rituale di uscita.

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Durante la seduta acquatica la terapista ricerca sia una condizione di benessere fisico che un prolungamento dello sguardo diretto verso di lei e verso le attività; il tentativo di trasformare i movimenti involontari in gesti dotati di senso. La ricerca di un contenimento fisico per favorire un rallentamento del ritmo all’interno della relazione in modo da determinare una condizione di maggior ascolto e di reciprocità. Far sì che Miriam mostri maggior interesse verso l’ambiente ed il sociale in generale.

Il secondo filmato si riferisce ad un trattamento in acqua della coppia madre-bambina, dove lo scopo principale è quello di favorire e approfondire l’attaccamento e migliorare il legame fra di loro. Contemporaneamente la mamma ha l’opportunità di vedere da “dentro” l’attività della sua bambina, permettendosi di esprimere le sue ansie e i suoi timori, sentendosi nello stesso tempo appoggiata e affiancata. Prendendosi cura della relazione fra la mamma e la figlia si lavora anche sulla relazione fra la bambina (Martina) la terapista e l’ambiente.

In genere le prime attività sono proposte dalla terapista, signora Caviezel e sono finalizzate alla percezione del corpo in acqua e a facilitare gli aspetti legati al benessere fisico e favorire l’acquaticità, favorendo un maggiore contatto con l’acqua che Martina dimostra di gradire.

A questo punto la mamma comincia a diventare più attiva portando in giro la figlia per la vasca con diverse modalità, stabilendo prima un importante contatto visivo e successivamente un contatto tonico di grande valore relazionale.

Nella sequenza in cui la piccola sta seduta sulle gambe della terapista e gioca frontalmente con la madre si nota come l’intenzionalità gestuale aumenti, insieme all’aggancio dello sguardo ed ai vocalizzi che più frequentemente accompagnano questi momenti. In questo caso la terapista ha l’importante ruolo di mediatore e di facilitatore.

Sono evidenti i progressi di Martina sia sul piano motorio e posturale, confermati anche dalla fisioterapista, sia per la relazione e la comunicazione.

“Sulla terraferma” inizia ad avere reazioni di sostegno e schemi del passo efficaci; mentre in vasca ha uno sguardo diretto, attenzione per le azioni della mamma e della terapista, risate, vocalizzi, orientamento dello sguardo fra la mamma e la terapista, abbracci e baci con la mamma, anticipazione del gesto.

Per quanto riguarda la sua acquaticità possiamo dire che la sua confidenza ha raggiunto un livello soddisfacente.

Il terzo filmato si riferisce all’esperienza terapeutica acquatica di Nicoletta, che ormai adolescente è passata attraverso numerosi interventi riabilitativi di vario tipo. Questa non è la sua prima esperienza in vasca, ma è invece un nuovo approccio all’acqua; infatti con la terapista signora Palen ha iniziato da qualche mese un trattamento con il metodo Watsu, seppur adattato alla sua condizione.

Questo tipo di body work acquatico permette di attuare un programma riabilitativo altrimenti improponibile, e dove la relazione corporea mediata dall’acqua è un ottima occasione per creare una situazione altamente empatica.

Nicoletta sta attraversando un periodo della sua vita in cui l’esperienza cognitiva e di comunicazione sono soddisfacenti, mentre l’obiettività fisica e motoria sono più precarie. Inoltre alcune esperienze socio-pedagogiche significative cambieranno a breve.

Osservando il filmato ci si rende conto che la terapista inizia con attività frontali e contenitive, che sono più rassicuranti e che Nicoletta impara ad accettare anche come gioco fino a quando la terapista riesce ad inserire esercizi di allungamento e di rotazione riuscendo anche ad ottenere posture simmetriche. Per rendere Nicoletta più curiosa nei confronti dell’acqua (acquaticità) e della terapista, quest’ultima si immerge completamente senza mai abbandonare la presa.

Tutta la seduta è caratterizzata da “una danza dell’acqua”, “da una guida sensibile” che non è mai legata al linguaggio verbale, ma improntata sullo stimolo del contatto fisico, per dare significato ai “segnali” di Nicoletta. Il ritmo dei movimenti rimane armonico e quando è necessario la presa diventa laterale permettendo la rottura delle stereotipie, per cui il movimento diventa gesto e/o allungamento corporeo.

Il ritmo del movimento permette quindi di attuare posture ormai improponibili “a terra” dove si cerca continuamente un movimento attivo finalizzato.

E’ possibile notare come la comunicazione non verbale si svolga durante tutta la seduta e sia caratterizzata da un reciproco ascolto: la terapista accetta sia i rifiuti che le proposte di Nicoletta in modo da creare un rapporto di fiducia dove l’iniziativa di una o dell’altra è sempre ben accolta e “possibile”, mai subita (Atteggiamento relazionale adeguato).

Quando la situazione lo permette, la terapista attua prese posteriori, affidando Nicoletta sempre di più all’acqua calda che permette di aumentare la flessibilità della colonna vertebrale e delle fasce muscolari, favorendo un miglior allineamento corporeo.

Con questa metodica inoltre c’è un notevole incremento delle possibilità di movimento, interrompendo l’eccessivo tono dei muscoli flessori e/o estensori; ciò incentiva le corrette reazioni di raddrizzamento e stabilità del tronco.

Verso la fine del filmato si può notare come la ragazza rallenti il movimento e stia in ascolto tonico con la terapista, la quale a sua volta la prepara all’uscita dalla vasca e al distacco.

E’ possibile concludere affermando che il lavoro in acqua, per la sua completezza e varietà, per le facilitazioni a livello motorio e posturale che l’acqua induce, per il benessere e l’attivarsi delle relazioni che ne derivano, possa essere considerato un trattamento fondamentale nelle bambine con sindrome di Rett.

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Antonio Grioni, Medico NPI Psicoterapeuta

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