Studio delle differenze genetiche tra la forma classica e la variante Zappella della Sindrome di Rett

Delineare strategie terapeutiche volte ad attenuare la sintomatologia: è questo lo scopo di uno studio sui fattori genetici che determinano le differenze tra la forma classica e la variante a linguaggio conservato della malattia.

Maria Antonietta Mencarelli – Alessandra Renieri,

Genetica Medica, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Siena

La variante a linguaggio conservato della Sindrome di Rett, recentemente rinominata variante Zappella (Z-RTT), è caratterizzata da un decorso clinico più favorevole rispetto alla forma classica (Zappella 1992; Renieri et al. 2009). Durante il terzo stadio, le pazienti Z-RTT recuperano alcune abilità precedentemente perdute: iniziano a comunicare con brevi frasi solitamente in terza persona e si osserva un miglioramento nell’uso delle mani. La loro capacità motoria migliora a tal punto che alcune bambine sono in grado di salire e scendere le scale autonomamente. Le Z-RTT, diversamente dalle RTT classiche, presentano in genere una circonferenza cranica normale, un peso ed una statura nella norma ed una cifoscoliosi più lieve (Zappella et al. 2001; Renieri et al. 2009). Sia la forma classica che la variante Zappella sono causate da mutazioni nel gene MECP2 (De Bona et al. 2000, Zappella et al. 2003). Il tipo di mutazione è spesso simile, in alcuni casi identico nei due quadri clinici (Scala et al. 2007). Dal 1999 ad oggi presso l’U.O.C. Genetica Medica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, in collaborazione con il reparto di Neuropsichiatria Infantile, sono state valutate numerose bambine e ragazze con mutazione del gene MECP2. I dati clinici ed il materiale biologico sono stati raccolti nella biobanca della Sindrome di Rett che al momento attuale include 131 RTT classiche e 21 Z-RTT (http://www.biobank.unisi.it) (Sampieri et al. 2007). Sono inoltre presenti due rari casi familiari con due coppie di sorelle RTT, in cui una sorella è affetta dalla forma classica e l’altra dalla variante Zappella. In ciascuna coppia di sorelle è presente la stessa mutazione in MECP2 e inattivazione del cromosoma X bilanciata. Questi dati chiaramente suggeriscono che fattori come il tipo di mutazione in MECP2 e/o lo stato di inattivazione del cromosoma X non sono sufficienti a spiegare la variabilità clinica che si osserva nelle pazienti RTT e che altri fattori genetici devono essere coinvolti.

Il progetto attualmente in corso presso l’U.O.C. Genetica Medica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena prevede l’applicazione di due strategie al fine di individuare i fattori alla base di tale variabilità clinica, attraverso il riconoscimento dei quali potrà essere possibile delineare strategie terapeutiche volte ad un miglioramento della sintomatologia. Entrambi gli approcci sono volti all’identificazione di fattori che possano modulare la sintomatologia clinica in presenza della mutazione nel gene MECP2.

Il primo approccio è basato sulla ricerca di differenze significative nelle frequenze di polimorfismi che coinvolgono un singolo nucleotide (Single Nucleotide Polymorphisms, SNPs) in geni candidati quali CDKL5 e BDNF. Gli SNPs, sono variazioni di singoli nucleotidi nella sequenza dei geni che si riscontrano comunemente nella popolazione generale. È noto che gli SNPs possono influenzare lo sviluppo di patologie o la risposta a infezioni e a farmaci. I nostri risultati preliminari hanno messo in evidenza una possibile correlazione del polimorfismo p.Q791P in CDKL5 con il grado di epilessia, suggerendo che la variante P abbia un effetto protettivo sulla gravità dell’epilessia rispetto alla variante Q, che è quella maggiormente diffusa nella popolazione generale. Analogamente è emerso che nelle bambine che presentano il polimorfismo p.V66M del gene BDNF sia sulla copia di origine materna che in quella di origine paterna le alterazioni del sistema nervoso autonomo risultano essere di più lieve entità. Ci proponiamo quindi di effettuare ulteriori indagini di correlazione tra gravità del quadro clinico, valutata sulla base di uno score recentemente validato (Renieri et al. 2009), e la presenza di SNPs in geni candidati o in quanto associati ad un fenotipo simile, come nel caso del gene CDKL5, o in quanto target noti di MeCP2, come per BDNF (Martinowich et al., 2003; Chen et al., 2003; Scala et al., 2007).

L’altro approccio attualmente in atto prevede l’analisi di differenze nel dosaggio genico (Copy Number Variantions, CNVs) incoppie di pazienti classiche e Z-RTT con la stessa mutazione nel gene MECP2. L’indagine prevede l’impiego della tecnica di array-CGH, che permette di rilevare delezioni o duplicazioni cromosomiche anche di piccole dimensioni. È di recente acquisizione infatti il concetto che differenze genetiche tra un individuo ed un altro possono essere dovute, oltre che a varianti che coinvolgono un singolo o pochi nucleotidi, anche a variazioni del numero di copie di un segmento genico (delezioni, duplicazioni o amplificazioni). È noto inoltre che le varianti possono influenzare il quadro clinico, non determinando una condizione di malattia di per sé, ma conferendo protezione o suscettibilità ad una data condizione.

L’analisi array-CGH eseguita sulla prima coppia di sorelle con quadro clinico discordante, una RTT classica e l’altra Z-RTT, ha mostrato la presenza di 9 riarrangiamenti diversi, tra cui una duplicazione del braccio corto del cromosoma 16, che risulta presente nella sorella RTT classica e nel padre, mentre è assente nella sorella Z-RTT e nella madre. La duplicazione comprende alcuni geni tra cui uno in particolare sembra essere un buon candidato come modulatore del fenotipo neuromuscolare. Inoltre alcuni dei geni inclusi nella duplicazione sembrano rappresentare potenziali target di MeCP2. Ulteriori indagini sul contenuto genico di questa regione sono attualmente in corso per la validazione di tali risultati.

Visti i dati promettenti ottenuti nella fase preliminare di questo progetto stiamo attualmente estendendo l’indagine all’altra coppia di sorelle e a 20 coppie di pazienti non imparentate con identica mutazione in MECP2 e con fenotipo RTT a diversa gravità, classico e Z-RTT (http://www.biobank.unisi.it).

Il nostro auspicio e la nostra speranza è che la comprensione dei fattori genetici che determinano la differenza tra la forma classica e il fenotipo più lieve delle pazienti Z-RTT possa aprire la strada allo sviluppo di strategie terapeutiche volte ad attenuare la sintomatologia RTT. Infatti agendo su tali fattori, le pazienti potrebbero migliorare le proprie capacità cognitive, linguistiche e motorie.

Bibliografia

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