S.R. Correlazione Genotipo-Fenotipo

Oggi siamo a conoscenza del fatto che accanto alla forma definita ’classica’ esistono delle bimbe che presentano una manifestazione più sfumata dei sintomi, col mantenimento di alcune abilità (forme definite varianti). Da cosa può dipendere tale diversità? Come si spiegano tali differenze di fenotipo in soggetti che presentano una mutazione all'interno del medesimo gene? Ecco alcune ipotesi.

Dr.ssa Francesca Cogliati, Specialista in Genetica Medica (Laboratorio di Citogenetica e Genetica Molecolare Istituto Auxologico Italiano, Milano)

La Sindrome di Rett può essere una realtà complessa dal punto di vista diagnostico.Tale complessità è resa evidente, pur all'interno di un profilo di regressione e di un andamento sequenziale abbastanza caratteristico nell'evolversi della sintomatologia delle bambine, dalla presenza di quadri clinici variabili.

Oggi i clinici sono a conoscenza del fatto che accanto alla forma definita 'classica', esistono delle bimbe che presentano una manifestazione più sfumata dei sintomi, col mantenimento di alcune abilità (forme definite varianti): alcune la capacità di dire qualche parolina ed eccezionalmente brevi frasi; in altre la vera e propria regressione comincia più tardi, a partire dall'età scolare; in altre ancora i cosiddetti criteri di supporto che aiutano il medico all'inquadramento clinico compaiono tardivamente, solo con l'infanzia inoltrata. Purtroppo esistono anche forme più gravi, in cui la sintomatologia tipica della regressione comincia cosi' precocemente che non è possibile identificare quella fase della primissima infanzia caratterizzata da un decorso normale. Oltre a questa variabilità, che consente di distinguere le pazienti con un quadro classico da quelle con un quadro variante, esiste comunque una variabilità anche fra le bimbe definite come 'classiche': alcune mostrano segni di epilessia, altre no; manifestazioni quali le anomalie respiratorie, del tono muscolare, la scoliosi, il ritardo di crescita, i disturbi del sonno, le urla, possono essere presenti in alcune pazienti e assenti in altre. A che cosa può essere ascrivibile tale diversità?

Oggi sappiamo che l'80%-90% delle bimbe con la Sindrome di Rett presenta mutazione nel gene MECP2: come si spiegano tali differenze di fenotipo in soggetti che presentano una mutazione all'interno del medesimo gene? Si possono fare delle ipotesi.

I fattori che influenzano le manifestazioni cliniche sono molteplici; ci sono sia influenze ambientali che di carattere genetico: la presenza di altri geni diversi da MECP2 che creino un contesto 'favorevole' può risultare in un quadro clinico meno grave; alternativamente una combinazione sfavorevole degli stessi può aggravare la menifestazioni cliniche della malattia.Tale discorso è valido per qualsiasi patologia, non solo per la sindrome di Rett, e l'influenza di tale 'contesto' genetico, così come dell'ambiente, non è purtroppo quantificabile.

Esistono due fattori però che sicuramente possono influenzare la presentazione della malattia:

  1. Il tipo e/o la posizione della mutazione all'interno del gene MECP2;
  2. Il fenomeno della inattivazione del cromosoma X

 

TIPO E POSIZIONE DELLA MUTAZIONE

Il gene MECP2 codifica per una proteina che agisce impedendo la espressione di altri geni (non noti), ovvero fa sì che non avvenga la produzione della loro proteina corrispondente. Esegue tale compito grazie alla presenza di due regioni funzionali, chiamate 'domini': un dominio che si lega al DNA in prossimità del gene che deve reprimere (MBD, che in inglese sta per Methylation Binding Domain) e un dominio che interagisce con altre proteine per impedire la cosiddetta 'trascrizione' del gene bersaglio (TRD, che in inglese sta per Transcription Repressor Domain). Affinchè la proteina prodotta dal gene MECP2 funzioni correttamente e svolga la sua corretta azione di repressione è necessario che la sua struttura proteica, in particolare di queste due regioni che realizzano la sua specifica funzione, non siano alterate; la mutazione a livello del gene provoca proprio la modifica delle singole unità costituenti della catena proteica, gli aminoacidi, alterando il corretto funzionamento della proteina. Appare verosimile perciò l'ipotesi che la posizione e il tipo della mutazione possano provocare un danno diverso sulla proteina MECP2 a seconda di quale regione funzionale della proteina vadano a colpire e questo in ultima analisi determini una presentazione clinica più o meno grave. Diversi studi si sono occupati di valutare se tale ipotesi fosse corretta andando a verficare la esistenza di una correlazione fra il tipo e/o la posizione della mutazione all'interno del gene MECP2 e la presenza di una sintomatologia più o meno severa, arrivando a risultati più o meno discordi e non univoci. A fronte di tali evidenze abbiamo ritenuto opportuno valutare tale ipotesi sulla casistica afferita al nostro laboratorio per lo studio di mutazione del gene MECP2 (Laboratorio di Biologia Molecolare dell'Istituto Auxologico Italiano) da Giugno 2000 ad Agosto 2002.

Sono giunte in tale periodo per tale indagine molecolare 93 pazienti con sospetto diagnostico di Sindrome di Rett. Su nostra indicazione, per ogni paziente, il medico specialista che ha suggerito l'analisi ha compilato una tabella dettagliata che teneva conto della presenza dei criteri primari e di supporto e che attribuiva ad ogni criterio un punteggio a seconda della gravità con cui si presentava tale sintomo. Ad ogni bimba risultata positiva per tale test (in totale 32) è stato perciò associato un punteggio di 'gravità' dato dalla somma dei punteggi riferiti ai singoli parametri. Le pazienti sono state suddivise in tre gruppi a seconda del tipo di mutazione riscontrata:

  1. nel primo gruppo tutte le bimbe che avevano una mutazione chiamata di senso errato, cioè che altera una singola unità della sequenza della proteina, cioè un singolo aminoacido, senza che vi sia troncamento della proteina;
  2. nel secondo gruppo le pazienti che mostravano una mutazione che porta a un troncamento della proteina molto all'inizio, e quindi producono una proteina molto corta;
  3. nel terzo gruppo le pazienti che recavano una mutazione che troncava sì la proteina, ma solo nella parte finale, in una regione che sta al di fuori dei due domini funzionali di cui abbiamo parlato sopra e quindi che hanno una proteina più lunga di quelle del secondo gruppo.

Confrontando tali tre gruppi con test statistici abbiamo dimostrato che esiste una correlazione significativa fra il tipo della mutazione e la gravità: le bimbe che hanno una mutazione nella parte terminale del gene, tale da non 'tagliare via' la parte in cui sono presenti i due domini funzionali di MECP2, stanno in media meglio di quelle che recano una mutazione nella parte iniziale.Tale risultato è chiaramente preliminare e andrà riconfermato su un numero più esteso di pazienti positive, ma se riconfermato potrà avere un significato positivo in termini di prognosi dell'evoluzione della malattia.

Ma al di là della suddivisione delle mutazioni in tali gruppi, due pazienti che recano la stessa mutazione , presenteranno lo stesso tipo di gravità nella manifestazione dei sintomi?

Non necessariamente, perché entra in gioco, oltre chiaramente ad altri fattori genetici ed ambientali non facilmente quantificabili, un secondo fattore, che è la inattivazione del cromosoma X.

 

FENOMENO DELLA INATTIVAZIONE DEL CROMOSOMA X

Il gene MECP2 si trova sul cromosoma X. Ogni soggetto di sesso femminile reca due cromosomi X, mentre un soggetto di sesso maschile presenta un solo cromosoma X e un cromosoma Y. Al fine di rendere simile la quantità di geni che vengono espressi dai cromosomi X fra uomo e donna, la evoluzione ha fatto sì che in ogni cellula dell'organismo femminile, che presenta il doppio dell'X rispetto agli uomini, uno dei due X, a caso, venga 'inattivato', col risultato che se si considerano tutte le cellule di tutti i tessuti prese nel loro insieme, il 50% avrà inattivato il cromosoma X che chiamiamo A e il 50% il cromosoma X che chiamiamo B.

Questo fenomeno è irrilevante ai fini del funzionamento se tutt'e due i cromosomi X funzionano al meglio nello stesso modo, ma può essere importante se, come nella sindrome di Rett, un cromosoma X contiene un gene come MECP2 che funziona correttamente e l'altro che invece porta il gene sbagliato con la mutazione. Si può infatti verificare una situazione in cui viene preferenzialmente inattivato il cromosoma X 'malato' con la mutazione, col risultato che, funzionando di più il cromosoma normale, il fenotipo viene migliorato rispetto ad una situazione in cui vengono inattivati a caso al 50%. Viceversa si può verificare la situazione opposta, in cui viene preferenzialmente inattivato l'X 'sano', per cui l'unica copia che funziona è quella che porta il gene mutato che funziona male, col risultato dell'aggravarsi delle manifestazioni cliniche in una paziente affetta da Sindrome di Rett.

Questo può spiegare il perché due pazienti che portano la stessa mutazione possano mostrare un quadro clinico differente se hanno un'inattivazione del cromosoma X diversa. Chiaramente il tessuto in cui questo fenomeno potrebbe avere una maggiore influenza è quello cerebrale, poiché la sindrome di Rett è una malattia a compromissione prevalentemente neurologica, ma tale tessuto non è chiaramente prelevabile per poter essere studiato! Quello che si può testare è il tessuto linfocitario, cioè i globuli bianchi che si isolano da un normale prelievo di sangue, anche se i risultati ottenuti da tale tessuto sono solo indicativi, nel senso che non si può escludere che la inattivazione sia diversa fra il sangue e il cervello.

A fronte di tali osservazioni riguardanti la possibile rilevanza del fenomeno della inattivazione del cromosoma X, nelle pazienti risultate positive al test per MECP2 si è proceduto all'analisi dello stato di inattivazione di tale cromosoma: quasi tutte mostrano un profilo di inattivazione casuale, cioè al 50% fra i due cromosomi, mentre due sembrano avere uno sbilanciamento. I dati però sono ancora troppo ridotti per potere dedurre se tale fattore sia effettivamente rilevante nell'influenzare la gravità della manifestazioni cliniche della pazienti Rett.

Ci proponiamo perciò di estendere tale studio ad un numero più cospicuo di bimbe positive all'analisi di mutazione per il gene MECP2, anche all'interno di gruppi di bimbe recanti la medesima mutazione, poiché, al di là del ruolo esatto del gene MECP2, sul quale rimane molto ancora da scoprire, la comprensione della correlazione fra genotipo (sia in termini di tipologia della mutazione che di influenza della inattivazione del cromosoma X) e fenotipo, cioè il modo e la gravità con cui si presentano le manifestazioni cliniche, potrà essere utile per poter fare una previsione sul progredire della malattia.

Dr.ssa Francesca Cogliati