Progressi recenti nella ricerca sulla Sindrome di Rett

Le più recenti acquisizioni scientifiche in campo genetico, un altro piccolo passo in avanti verso il raggiungimento di una strategia terapeutica mirata ed efficace.

Maria Antonietta Mencarelli – Alessandra Renieri

Genetica Medica, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Siena

I recenti progressi nella comprensione della Sindrome di Rett sono stati veramente impressionanti, tuttavia una delle prerogative di questa malattia sembra proprio essere quella di coglierci alla sprovvista. Prima di tutto per le sue modalità di presentazione: intorno ai 2 anni bambine apparentemente sane perdono inaspettatamente le abilità motorie e cognitive acquisite in precedenza e iniziano a manifestare crisi epilettiche, tratti autistici e disturbi del sistema nervoso autonomo. La funzione stessa del principale responsabile, il gene MECP2, continua a mantenere alcuni aspetti enigmatici. MECP2 era infatti stato identificato come un repressore della trascrizione anni prima della scoperta del suo ruolo nella Sindrome di Rett. Acquisizioni recenti hanno tuttavia documentato il suo coinvolgimento anche nello splicing dell’RNA (il processo che porta alla maturazione delle informazioni necessarie alla sintesi proteica). Ancor più recentemente è stato dimostrato che MECP2 ha un ruolo fondamentale nell’attivare l’espressione di alcuni geni, una funzione diametralmente opposta a quella che fino a poco tempo fa si pensava essere l’unica! (Zoghbi HY, 2009).

La proteina MeCP2 è presente in modo abbastanza omogeneo in tutti i distretti dell’organismo. Tuttavia, fino a non molto tempo fa, si riteneva che la perdita della funzione di MeCP2 nei neuroni rappresentasse la causa scatenante della malattia. Tale assunto si basava sull’interessamento prevalentemente neurologico che si ha nella Sindrome di Rett e sulla particolare abbondanza della proteina nei neuroni in contrasto con l’apparente assenza nelle cellule gliali, che nutrono e danno sostegno ai neuroni. Gli studi precedentemente condotti si erano pertanto focalizzati esclusivamente sul ruolo di MECP2 nelle cellule neuronali ed avevano dimostrato che i neuroni mutati presentano dimensioni ridotte, un’arborizzazione diminuita e delle spine dendritiche più corte soprattutto in specifiche regioni cerebrali (le spine dendritiche rappresentano il punto di contatto tra i vari neuroni e permettono le connessioni neuronali) (Zoghbi HY, 2003; Armstrong DD, 2005). Recentemente tuttavia è stato dimostrato che MeCP2 ha un ruolo anche a livello delle cellule della glia e che la perdita della sua funzione in queste cellule causa un effetto tossico sui neuroni nascenti (Ballas N, 2009). Mettendo infatti in coltura astrociti con mutazione in MECP2 insieme a cellule neuronali “normali” e a cellule neuronali con mutazione in MECP2, i ricercatori hanno evidenziato che anche i neuroni non mutati sviluppano caratteristiche simili a quelle dei neuroni mutati (Ballas N, 2009). Questa recente acquisizione indirizza verso l’ipotesi che la comparsa progressiva della malattia possa in qualche modo essere dovuta ad un crescente effetto tossico delle cellule gliali mutate su quel 50% di neuroni che teoricamente non presentano la mutazione in MECP2 (Ballas N, 2009). Infatti mentre nei maschi è presente un solo cromosoma X, le femmine ne presentano due, che nel caso della Sindrome di Rett risultano essere uno normale ed uno mutato. Per bilanciare la differenza tra i due sessi, anche in condizione di normalità, nelle femmine solo uno a caso dei due cromosomi X risulta essere attivo in ciascuna cellula, mentre l’altro viene “spento”. Dunque, nelle bambine con Sindrome di Rett, metà dei neuroni esprime il cromosoma X “sano” e metà quello “malato”. Gli esperimenti condotti da Ballas hanno messo in evidenza che la presenza di cellule gliali mutate va ad incidere anche sulla percentuale di cellule “sane”, determinando una sorta di effetto tossico su tutti i neuroni (Ballas N, 2009). Resta tuttavia ancora da comprendere come questo meccanismo possa correlarsi con l’ampia variabilità clinica che si osserva nella Sindrome di Rett.

Uno studio analogo, svolto nello stesso periodo, ha messo in evidenza che il mancato funzionamento di MeCP2 nelle cellule gliali causa anomalie funzionali che possono alterare la maturazione dendritica (Maezawa I, 2009). Questi studi hanno anche ribadito che la funzionalità dei neuroni può essere recuperata solo se viene ristabilita anche la funzionalità della glia. Tali risultati hanno confermato quanto emerso in lavori precedenti su modelli animali nei quali si segnalava che la reintroduzione della proteina Mecp2 non mutata esclusivamente nei neuroni non determinava alcun miglioramento del fenotipo. Tali risultati rivestono ovviamente una notevole importanza nell’impervio percorso verso il raggiungimento di una strategia terapeutica mirata ed efficace (Maezawa I, 2009).

Lo studio condotto da Maezawa e colleghi ha inoltre cercato di dare una spiegazione al periodo di regressione che si verifica nella Sindrome di Rett dopo mesi di sviluppo e maturazione del cervello apparentemente normali. Viene ipotizzato che nei primi mesi di vita la presenza di una sola copia di MECP2 funzionante sia sufficiente a compensare la funzione della copia alterata. Questo precario equilibrio viene mantenuto fino a quando non intervengono ulteriori eventi cumulativi che determinano una progressiva diminuzione della proteina. A livello delle cellule della glia la perdita di Mecp2 potrebbe quindi causare una situazione instabile in cui viene persa la capacità di supportare le funzioni del cervello (Maezawa I, 2009).

Indubbiamente, nel contesto delle acquisizioni recenti è d’obbligo sottolineare, accanto allo studio dei modelli cellulari, la rilevanza dei modelli murini. Come per numerose altre malattie genetiche, la disponibilità di un modello animale ha rappresentato un’importante opportunità per lo studio dei meccanismi della Sindrome di Rett e per la ricerca di potenziali terapie. Lo studio sui modelli murini della sindrome ha permesso di estendere le conoscenze sulle alterazioni dei sistemi di apprendimento e memoria, sulle inabilità motorie, sugli effetti di BDNF e sulle alterazioni del respiro e la loro correlazione con i livelli di neurotrasmettitori (Percy AK, 2008).

La conclusione di questo excursus sulle recenti acquisizioni scientifiche nella Sindrome di Rett non può non far riferimento ad un aggiornamento sugli studi riguardanti gli aspetti preminentemente clinici della malattia. È infatti recente la nascita del database europeo della Sindrome di Rett. Questo database, sviluppato nell’ambito del network EuroRett, origina dalla connessione dei quattro database nazionali preesistenti (lo spagnolo, il francese Syrene, la Biobanca Rett italiana e l’inglese BIRS – British Isles Rett Survey). Tale database permetterà di raccogliere dati genetici e informazioni cliniche dettagliate e facilmente comparabili su grandi numeri di pazienti secondo standard internazionali condivisi. Queste informazioni saranno disponibili ai gruppi europei coinvolti nella ricerca sulla Sindrome di Rett, consentendo di effettuare correlazioni genotipo-fenotipo, studi sui geni modificatori e di selezionare specifici sottogruppi di pazienti per la realizzazione di trials clinici (Renieri A. 1st European Congress on Rett Syndrome; Milan, June 5 – 7, 2009).

Referenze

  1. Armstrong DD. Neuropathology of Rett syndrome. J Child Neurol. 2005 Sep;20(9):747-53.
  2. Ballas N, Lioy DT, Grunseich C, Mandel G. Non-cell autonomous influence of MeCP2-deficient glia on neuronal dendritic morphology. Nat Neurosci. 2009 Mar;12(3):311-7.
  3. Maezawa I, Swanberg S, Harvey D, LaSalle JM, Jin LW. Rett syndrome astrocytes are abnormal and spread MeCP2 deficiency through gap junctions. J Neurosci. 2009 Apr 22;29(16):5051-61.
  4. Percy AK. Rett Syndrome: Recent Research Progress. J Child Neurol. 2008; 23: 543-549
  5. Renieri A. 1st European Congress on Rett Syndrome; Milan, June 5 – 7, 2009
  6. Zoghbi HY. Postnatal neurodevelopmental disorders: meeting at the synapse? Science. 2003 Oct 31;302(5646):826-30
  7. Zoghbi HY. Rett syndrome: what do we know for sure? Nat Neurosci. 2009 Mar;12(3):239-40.