Fragilità ossea nei pazienti affetti da malattie congenite di origine non scheletrica

Questo articolo viene inserito nella sezione “Novità dal mondo” perché dedica un’ampia parte alla Sindrome di Rett.
Lo studio dal titolo “Fragilità ossea nei pazienti affetti da malattie congenite di origine non scheletrica” pubblicato sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases il 6 gennaio 2021, degli autori L. Masi, S. Ferrari, M. K. Javaid, S. Papapoulos, D. D. Pierroz, M. L. Brandi e il gruppo di lavoro IOF Skeletal Rare Diseases fornisce la prima tassonomia completa delle malattie congenite rare non scheletriche con impatto sulla fisiologia ossea.
Nell’ultimo decennio sono stati compiuti enormi progressi nella comprensione delle basi molecolari delle malattie congenite e delle sindromi (www.eurordis.org; www. orpha.net) che comprendono anche i nuovi trattamenti che aumentano la sopravvivenza dei pazienti. Gli autori raccomandano un’adeguata educazione del paziente in termini di assunzione di calcio, vitamina D e attività fisica. Attualmente, il miglior consiglio è quello di trattare l’osteopenia e/o osteoporosi secondo le linee guida generali utilizzando anti riassorbitivi o farmaci anabolizzanti. Il migliore trattamento è stato possibile valutando sempre più i sintomi e i segni correlati alla malattia genetica e al relativo fenotipo.
Il tessuto osseo rappresenta un ampio compartimento sistemico del corpo umano, con un metabolismo attivo, che controlla la deposizione e la rimozione dei minerali. La recente classificazione dei disordini metabolici ossei congeniti ha permesso l’identificazione di 116 fenotipi con 86 geni affetti, i cui difetti si basano sui regolatori cellulari e biochimici riconosciuti dal turnover osseo (Masi L. et al., 2015).
La fragilità ossea interessa anche categorie come le malattie neurologiche rare, tra cui una delle più gravi è la Sindrome di Rett. La Sindrome di Rett (RS) è una grave malattia neurologica, caratterizzata dal rallentamento dello sviluppo cerebrale, legata al cromosoma X. La maggior parte di individui con RS esprime una mutazione nel gene MECP2, che attiva o reprime la trascrizione neurale quando si lega alle citosine metilate nel DNA (Lloyd et al., 2000; Amir et al., 1999). I pazienti con RS classica sembrano svilupparsi normalmente fino ai 6-18 mesi di età, poi perdono gradualmente la parola e l’uso intenzionale della mano e possono sviluppare microcefalia, convulsioni, autismo, atassia, iperventilazione intermittente e movimenti stereotipati della mano. Dopo questa prima regressione, la condizione si stabilizza e i pazienti di solito sopravvivono sino all’età adulta (Julu et al., 2001). I pazienti con RS sviluppano anche anomalie scheletriche come scoliosi, bassa densità ossea e alta frequenza di fratture (Lotan et al., 2013; Shah RR, Bird AP, 2017; Zanchetta et al., 2016; Jefferson et al., 2016; Ludecke et al., 2001; Napierala et al., 2005) con grave menomazione nella mobilità e nella qualità della vita sin dalla giovane età. La ricerca preclinica suggerisce che la RS potrebbe essere uno dei primi disturbi neurologici curabili. I bifosfonati costituiscono un trattamento benefico coadiuvante per diminuire il rischio di frattura e ripristinare la densità ossea. Inoltre, il trattamento anabolico con teriparatide produce un grande miglioramento della microarchitettura ossea nelle pazienti con RS.
In conclusione, una migliore conoscenza dell’impatto delle malattie non scheletriche sul metabolismo osseo è di fondamentale importanza perlaterapiadellecomplicazioniosseeepuòguidareilcliniconellascelta del farmaco più appropriato per l’intervento, in modo da migliorare la qualità della vita dei soggetti.

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