Trattamento farmacologico della sindrome di Rett in modelli animali

Laurent Villard, Marsiglia

Traduzione Prof. Franco Pisani, Roma

 

La Sindrome di Rett colpisce in proporzione di 1/15.000 individui, e 1/6.000 nelle mutazioni in Mecp2. Questo significa che ogni 20 minuti, in qualche parte del mondo, nasce una persona affetta da una mutazione in Mecp2. La grande maggioranza di questi casi sono sporadici (>99%) e non c’è modo di predisporre una diagnosi prenatale; se ne deduce che l’incidenza della malattia non può essere variata.

Anche se in futuro potrebbero essere disponibili strategie promettenti, per es. in campo terapeutico o genetico, le effettive possibilità attuali sono limitate ad interventi di tipo farmacologico.

La Sindrome di Rett è una malattia del cervello, e purtroppo il cervello è l’organo più difficile da raggiungere, usando agenti farmacologici. Il cervello è isolato dal resto del corpo da una barriera denominata “blood brain barrier” (BBB), costituita da 600 chilometri di vasi sanguigni in un solo cervello! Le sostanze medicinali non riescono a fluire liberamente tra il sangue e le cellule cerebrali. Inoltre, il cervello è costituito da 100 miliardi di neuroni (le cellule nervose) e 5000 miliardi di cellule gliali (le cellule che supportano i neuroni). Il problema principale di ogni intervento farmacologico è di trovare molecole in grado di penetrare nel cervello e raggiungere un numero consistente di neuroni.

Per far progredire i ricercatori nei loro studi sulle malattie genetiche, è indispensabile l’impiego di un modello terapeutico. I modelli consentono l’accesso a tessuti che non sono raggiungibili negli esseri umani; inoltre, se ne possono studiare in vivo i meccanismi, si possono esaminare individui identici, si può creare un gran numero di soggetti, si possono studiare le fasi iniziali delle malattie (persino allo stadio pre-sintomatico) e si possono testare nuovi farmaci, potenzialmente pericolosi per l’uomo.

Il più dellle volte il modello usato nei laboratori di ricerca è il topo. Viene usato perché è un mammifero, i suoi geni sono simili a quelli umani, il suo genoma può essere manipolato (e si può riprodurre una malattia genetica), le malattie spesso sono simili, la riproduzione è semplice, si possono ottenere rapidamente molti soggetti (la gestazione del topo è di 21 giorni), e infine esistono molti test standardizzati per studiare il fenotipo degli animali.

Per la Sindrome di Rett, ed altre malattie causate dalle mutazioni Mecp2, sono disponibili vari modelli murini, che rappresentano il meglio che si possa usare nei laboratori di ricerca, anche se, nonostante la loro alta percentuale di riscontri, essi non sono in grado di fornire risposte alla totalità delle richieste. Il fatto è che, ad un certo punto, si rivelano indispensabili gli studi sull’uomo, i cosiddetti “clinical trial”.

Esistono due possibilità di testare agenti farmacologici in modelli pre-clinici (come appunto il topo).

Nella prima, si possono testare molecole già approvate, vale a dire con autorizzazione all’immissione in commercio in Italia. Se si riscontra un effetto positivo, allora si può testare la stessa molecola in una successiva fase II del trial clinico, su un piccolo numero di pazienti.

Nella seconda, si possono testare molecole non ancora approvate. In questo caso, se si osserva un effetto positivo, la molecola deve passare attraverso la fase I del trial clinico, su volontari sani, prima di essere impiegata nella fase II del trial, al fine di accertarne la sicurezza.

Ma quale molecola usare nella Sindrome di Rett? Sappiamo che in questa sindrome i neuroni sono più piccoli e che non comunicano in modo normale, e tuttavia, nel cervello delle ragazze RTT non è in corso nessun processo degenerativo. La Sindrome di Rett non è una malattia a carattere neurodegenerativo; i neuroni non muoiono affatto. In molti laboratori si è tentato di ravvivare (il cosiddetto “boost”) i neuroni colpiti dalla malattia, mediante l’impiego di molecole diverse, in grado di agire in modo mirato sullo stesso neurone ovvero sulle sinapsi, cioè il luogo in cui i neuroni inter-comunicano, al fine di un reciproco scambio informativo.

Una delle prime molecole rivelatesi efficaci, nel modello murino della Sindrome di Rett, è stata la desipramina. Il nostro laboratorio ha riscontrato bassi livelli di noradrenalina nel modello di RTT (altri hanno rilevato bassi livelli anche nei pazienti RTT). La noradrenalina è importante per la funzione respiratoria, e noi abbiamo mostrato che nel modello RTT la respirazione non si svolge in modo normale. Il trattamento con desipramina può migliorare la funzione respiratoria nel topo, prolungandone anche il ciclo di vita. In considerazione di questi interessanti risultati pre-clinici, in Francia la desipramina è stata ammessa alla fase II del trial clinico. Il trial è sviluppato dal Prof. Josette Mancini, a Marsiglia, con lo scopo di testare l’efficacia della desipramina su 36 ragazze RTT. Si tratta di un trial controllato, del tipo double-blind, con placebo. Fino al marzo 2012, sono state trattate 29 ragazze RTT. I risultati sono attesi nel 2013.

Più di recente, il nostro laboratorio ha mostrato che, quando Mecp2 è assente oppure in condizione anomala, i neuroni hanno difficoltà a trasportare le molecole lungo i propri assoni (i “rami” che permettono ai neuroni di comunicare tra di loro). In particolare, abbiamo mostrato che il BDNF veniva trasportato con difficoltà nelle cellule carenti di Mecp2. Il BDNF è un importante fattore di crescita, indispensabile per la funzione neuronale, ed è carente nel topo RTT. La cysteamina è una molecola capace di migliorare la movimentazione e l’apporto di BDNF. Quando viene usata nel modello RTT, essa ne migliora il fenotipo. Attualmente, è in discussione un trial clinico a Parigi (Prof. Bahi-Buisson, nell’Ospedale Necker e Prof. Durr nell’Ospedale La Pitié Salpétrière, sempre a Parigi).

Un’altra molecola è stata descritta, denominata dihydroxyflavone, ritenuta in grado di attivare il recettore BDNF e di migliorare il fenotipo del modello murino di RTT, ma noi non siamo stati in grado di riprodurre tali risultati nel nostro laboratorio.

Attualmente, nel mondo sono in corso diversi trial clinici: risperidone (Los Angeles, USA), dextrometorphan e donepezil (Baltimora, USA), IGF-1 (Boston, USA), desipramina (Marsiglia, FR). Contemporaneamente, molte molecole vengono testate in modellli pre-clinici, come il topo carente di Mecp2. Per esempio: dihydroxyflavone (Madison, USA; Marsiglia, FR), ampakines (Cleveland, USA), aminoglycosides (Wilmington, USA; Goettingen, DE; Tel Aviv, IL), Cnf1 (Roma, IT). L’elenco sarebe troppo lungo per essere riportato qui.

Bisogna comunque essere molto cauti nel considerare l’efficacia dell’intervento farmacologico. Diverse molecole sono state impiegate solo per alcuni giorni (e gli effetti a lungo termine?); altre sono state testate prima dell’insorgere della malattia (e che succede se vengono somministrate dopo la comparsa del morbo?); in altri casi non sempre veniva riportata la valutazione nel lungo periodo, e infine la valutazione dell’efficacia differisce tra i vari laboratori.

A parte la farmacologia, ovviamente diversi altri approcci sono in corso di verifica, con l’impiego del topo come modello pre-clinico: terapia genetica a Portland, Edimburgo e Marsiglia; terapia proteica a Vienna; riattivazione del cromosoma X a Seattle; modificatori genetici a Houston. Questi test pre-clinci non hanno ancora prodotto risultati tali da consentire il loro «trasferimento» nelle cliniche.

Vogliamo parlare di tempistica? Purtroppo, per i bambini malati e per i loro genitori la durata dei progetti di ricerca è sempre troppo lunga! Al momento, si può impiegare la farmacologia classica per trattare i pazienti. Ci sono davvero diversi trial clinici in corso, per ragazze RTT. Comunque, per altri tipi di terapie, è molto difficile prevedere un’applicazione clinica. Le terapie innovative, come le strategie del tipo «readthrough» saranno forse disponibili in un periodo da 5 a 10 anni, a partire da ora. Per quanto riguarda le terapie genetiche o proteiche, purtroppo, non saranno disponibili nella pratica comune prima di 15 anni (almeno), considerati gli enormi ostacoli che i ricercatori devono affrontare in questo campo.

E comunque non intendo terminare con questioni di tempistica, perché la sindrome di Rett rappresenta un campo estremamente dinamico! Negli ultimi 12 anni, sono stati identificati i geni principali e i pazienti hanno ricevuto una diagnosi molecolare, e sono stati prodotti sette modelli murini; per studiare le cellule umane, sono state ottenute particolari cellule pluri-potenti su cui è stata indotta la sindrome di Rett ; nel modello murino è stata ottenuta una prova dell’ipotesi di reversibilità; in tutto il mondo sono in corso di sviluppo molti trial clinici e pre-clinici! C’è speranza, e anche se la ricerca sembra procedere con lentezza, tutti coloro che sono coinvolti, nelle cliniche o nei laboratori di ricerca, hanno lanciato un ambizioso programma per interrompere il progressivo avanzamento della malattia, prodigandosi nell’aiutare i pazienti a vivere una vita migliore, nella speranza che magari in futuro si possa curare questa condizione così devastante.