Aglaia Vignoli, Centro Epilessia – Dipartimento di Scienze della Salute – Azienda Ospedaliera San Paolo, Milano
Una delle problematiche che impegna maggiormente le pazienti con sindrome di Rett e le loro famiglie è l’occorrenza di crisi epilettiche. Questo dato, già emerso da studi precedenti (Bahi-Buisson et al., 2008; Pintaudi et al., 2010), è stato recentemente confermato da Byiers et al. (2013), secondo i quali l’epilessia è, insieme al dolore gastrointestinale, il maggior fattore di stress parentale nelle famiglie con sindrome di Rett.
Sicuramente le crisi epilettiche vengono talora vissute in maniera drammatica soprattutto dai famigliari, ma occorre sottolineare che spesso, e soprattutto quando i pazienti non sono in grado di descrivere quello che sentono durante una manifestazione parossistica, ogni manifestazione viene interpretata come “epilettica” anche quando in realtà non lo è. Questo dato è ben noto ai clinici che si occupano di sindrome di Rett, ed è stato descritto da Glaze et al. nel 1998. Questi Autori, studiando con approccio video-EEG poligrafico pazienti con sindrome di Rett che presentavano manifestazioni parossistiche, si accorsero che episodi descritti come critici non avevano corrispettivo elettrico nel 42% dei casi, mentre in un 15% delle pazienti le crisi epilettiche venivano misconosciute dai famigliari. Emergeva quindi la necessità di indagare con questa metodica in maniera non invasiva ma molto precisa gli episodi riportati dalle famiglie per identificare e classificare correttamente il fenomeno presentato dalla paziente e trovare in questo modo la corretta via di trattamento.
Nella foto, da sinistra: A. Vignoli, E. Veneselli, J. Hayek, S. Russo. M. Rodocanachi
Tra le manifestazioni che vengono poste in diagnosi differenziale con episodi critici, molte sono manifestazioni motorie, altre disturbi del respiro, altre modificazioni/restringimenti del contatto, altre modificazioni comportamentali.
Gli studi pubblicati in questa direzione non sono molti, anche perché lo studio neurofisiologico prevede consistenti risorse non tanto in termini di apparecchiature quanto soprattutto di personale tecnico per le registrazioni e un tempo necessario e sufficiente per completare l’esame cercando di ottenere il dato neurofisiologico richiesto.
Tra le manifestazioni motorie, è fondamentale inquadrare le manifestazioni anche parcellari a tipo “tremore” che possono invece essere sottese da una condizione clinica di mioclono corticale, che va talvolta ad interferire con l’attività motoria delle pazienti determinandone un peggioramento (Guerrini et al., 1998).
Dopo il lavoro di Guerrini sullo stato mioclonico, recentemente D’Orsi et al. hanno descritto il caso di una bambina con sindrome di Rett che presentava mioclonie ritmiche e aritmiche, coinvolgenti prevalentemente un arto, a cui corrispondevano burst di punte e polipunte diffuse all’EEG. Il Levetiracetam è risultato efficace in questo caso a risolvere lo stato. Quindi tale situazione va riconosciuta e adeguatamente trattata per migliorare le condizioni cliniche delle pazienti (D’Orsi et al., 2009).
Il mioclono corticale descritto nella sindrome di Rett è espressione di una ipereccitabilità della corteccia, soprattutto motoria, che si può esplicare anche nella individuazione di punte evocate all’EEG sulle regioni rolandiche durante le stereotipie manuali delle pazienti. Tale fenomeno, che viene evocato dall’attività motoria e che si risolve non appena la stessa cessa, non deve invece essere oggetto di trattamento, in quanto va considerato come un epifenomeno corticale, spesso età dipendente (Nissenkorn & Ben-Zeev, 2012).
Alcuni recenti lavori hanno sottolineato l’importanza di effettuare registrazioni polisonnografiche prolungate in veglia e sonno in pazienti con sindrome di Rett per verificare l’occorrenza di episodi di apnea (D’Orsi et al., 2012; Carotenuto et al., 2013). Questi dati, seppur preliminari, hanno tuttavia dimostrato la possibilità che si verifichino alterazioni della macrostruttura del sonno e delle caratteristiche respiratorie in sonno nelle pazienti studiate.
In veglia, d’altra parte, le manifestazioni respiratorie possono determinare un diffuso rallentamento dell’attività elettrica (quale ad esempio viene registrato durante l’esecuzione della prova dell’iperpnea nella normale pratica elettroencefalografica), anche in questo caso non interpretabile come attività critica ma semplicemente metabolica.
Con l’aumento dell’età, le ragazze con sindrome di Rett spesso manifestano fenomeni parossistici di natura comportamentale, talora sostenuti da sensazioni dolorose non sempre facilmente individuabili (Vignoli et al., 2012). L’approccio diagnostico deve essere rigoroso anche in questi casi. è tuttavia possibile che una terapia antidolorifica, anche aspecifica, possa risolvere situazioni drammatiche.
Le manifestazioni parossistiche nella sindrome di Rett sono di frequente incontro nella pratica clinica e spesso sono situazioni di difficile gestione per il medico. Sicuramente le indagini neurofisologiche e, in particolare la registrazione video-EEG poligrafica, ci permette in molti casi di comprendere il singolo fenomeno. Recentemente altre indagini quali la polisonnografia notturna hanno aggiunto dati importanti per la gestione della sindrome e delle manifestazioni che possono alterare il normale ciclo di sonno.
In questo campo la caratterizzazione dei fenomeni parossistici è ancora limitata (D’Orsi et al., 2012), sarebbe pertanto utile effettuare una raccolta multicentrica dei casi registrati per verificare se sia possibile individuare eventuali pattern elettroclinici comuni che possono indirizzare alla diagnosi corretta.
BIBLIOGRAFIA
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