La presa in carico della scoliosi

Differenti esperienze nell’approccio alla scoliosi nella sindrome di Rett sono state confrontate nel corso del Congresso mondiale di Parigi. La sessione dedicata a questo argomento ha affrontato temi relativi alle strategie di monitoraggio e di intervento ortesico e riabilitativo, ad esperienze di chirurgia con indicazioni per le valutazioni pre e post operatorie e ad esperienze delle famiglie.

Sintesi a cura della dott.ssa Marina Rodocanachi – Istituto Don Calabria, Milano

In una ricerca australiana (Jenny Down, Centre for Child Health Research, University of Western Australia, Perth) è stata riscontrata un’incidenza di scoliosi del 26% entro i 6 anni e del 75% a 13 anni.

Fattori predittivi precoci per lo sviluppo di scoliosi sarebbero l’ipotonia, una motricità spontanea ridotta prima dei 10 mesi di vita e la mancata acquisizione del cammino.

La mutazione p.R294X appare protettiva nei confronti della sviluppo di scoliosi.

L’autrice riferisce che non è ancora del tutto nota la storia naturale della progressione della curva e dei fattori in causa, ma sollecita la necessità di un monitoraggio costante che inizi prima dell’esordio della deviazione della colonna. Importanti fattori protettivi precoci sarebbero il movimento attivo con opportunità di svolgere attività fisica, una corretta postura seduta ed il mantenimento del cammino il più a lungo possibile.

In caso di decisione di intervento chirurgico di correzione della scoliosi è importante un approccio olistico e multidisciplinare per sostenere famiglia e paziente nelle fasi pre-durante e post-operatorie e lo svolgimento di programmi di fisioterapia appropriati.

Il trattamento chirurgico della scoliosi è stato discusso da Davi Roye (New York Children’s Hospital, USA). La relazione è stata centrata sulla complessità della decisione. Esistono alcuni criteri clinico-funzionali necessari perché si possa ipotizzare una soluzione chirurgica, come l’esistenza di una curva progressiva maggiore di 40°/50° che crei difficoltà nello stare seduti con difficoltà di controllo dell’equilibrio ed un’età vicina alla maturazione scheletrica.

L’approccio alla decisione è tuttavia sempre un approccio di équipe, che deve rispettare il parere dei genitori e degli altri caregivers. Deve essere condivisa con la famiglia la mancanza di un’evidenza scientifica chiara per la scelta di intervenire chirurgicamente rispetto al criterio del non intervento. Occorre cercare sempre di mettersi dalla parte della bambina cercando di “essere come un avvocato personale” che ne tuteli i diritti e scelga il meglio per lei, analizzando tutti i parametri di salute nel bilancio preoperatorio.

E’ sempre meglio fare questo tipo di bilancio quando la bambina è in una fase di compenso fisico e nutrizionale.

Occorre valutare i parametri nutrizionali, le varie comorbidità, fare un monitoraggio cardiopolmonare, della funzionalità gastrica, della motricità e della forza muscolare.

Una volta deciso, l’intervento deve essere fatto in un ospedale dotato di rianimazione e di un servizio di anestesiologia specializzato.

La tecnica comunemente utilizzata al Children’s Hospital di New York è quella della fusione posteriore.

La presa in carico post-operatoria è molto importante e si basa su una terapia intensiva post-operatoria con una buona gestione del dolore ed una prevenzione delle complicazioni emorragiche ed infettive.

Ancora non vi sono studi che valutino l’outcome a medio e lungo termine sulla qualità di vita delle pazienti operate.

Di grande interesse è stata la presentazione di Meir Lotan (Department of Physical Therapy, Ariel University Center, Israeli Rett Center) che ha trattato l’approccio riabilitativo non chirurgico alla scoliosi nella Sindrome di Rett. Secondo l’esperienza maturata in molti anni di trattamento con fisioterapia ed idroterapia in bambine Rett in Israele, fattori prognostici positivi per la scoliosi sarebbero: la presenza di cifosi, la normalità del tono e dei riflessi osteo-tendinei e la presenza di abilità motorie alte (salire e scendere le scale); mentre sarebbero fattori negativi la perdita/non sviluppo del cammino, l’ipotonia e l’insorgenza di anomalie posturali prima dei 5 anni. Secondo Lotan è importante iniziare un trattamento di fisioterapia appena si nota un’asimmetria. La fisioterapia dovrebbe essere intensiva, il cammino dovrebbe essere mantenuto, utilizzato e facilitato ed accompagnato se non presente. Una posizione seduta sbilanciata in senso antiasimmetrico, basata sul principio di dare al sistema nervoso centrale un feed back, metterebbe in moto reazioni di equilibrio del tronco attivando fasci muscolari paravertebrali altrimenti silenti. Lotan sottolinea che i corsetti, a suo parere, avrebbero una funzione soprattutto funzionale e di sostegno piuttosto che correttiva e segnala la possibilità che le bambine si appoggino attivamente sulla spinta del bustino che perderebbe così la sua capacità correttiva.. Suggerisce invece un programma, che deve essere condotto in collaborazione con le famiglie, di mantenimento di postura eretta e/o cammino per almeno due ore al giorno; di mantenimento della mobilità della colonna per evitare la degenerazione fibrosa dei muscoli paravertebrali, di posizionamento nel riposo di cuscinetti che distendano la curva scoliotica, di esecuzione di attività durante il mantenimento delle posizioni seduta ed eretta.

Eva-Lena Larrson (University Hospital, Linkopimg, Svezia) ha presentato uno studio a lungo termine (76 mesi) della funzionalità dopo chirurgia della colonna nelle bambine Rett. I risultati rilevano che le pazienti sono diventate più attive e che lo stato di salute generale è migliorato, nonostante una maggiore difficoltà a gestirle da parte delle famiglie a causa della rigidità della colonna. Oltre alla riduzione dell’angolo della scoliosi dopo la chirurgia risulterebbero migliori anche la distribuzione del peso in posizione seduta, l’equilibrio da seduta. L’autrice raccomanda di:

  • dare complete e dettagliate informazioni alla famiglia sull’intervento in fase di prericovero;
  • acquisire una relazione sulle condizioni preoperatorie da parte dei servizi riabilitativi di riferimento;
  • valutare in modo completo lo stato preoperatorio in senso funzionale (postura seduta, equilibri, ausili necessari, tempo di riposo diurno);
  • in fase postoperatoria mobilizzare precocemente (seduta sul bordo del letto dal primo giorno, ripresa appena possibile della stazione eretta e, se presente, del cammino);
  • chiare informazioni alla famiglia sul periodo operatorio di ricovero e per il rientro a casa;
  • raccomandazioni per il servizio riabilitativo territoriale;
  • rivalutazione postoperatoria utilizzando gli stessi parametri utilizzati in fase preoperatoria e soprattutto due domande aperte: “che cosa è migliorato dopo la chirurgia?”, “che cosa è peggiorato?”.

Infine è stata riportata l’esperienza di una mamma, Sue Hall (Birmingham, Inghilterra) nell’affrontare l’intervento chirurgico della sua bambina, Rachel, operata a 5 anni per una scoliosi di 93°.

La mamma di Rachel ha parlato della difficoltà nel prendere la decisione, ma dell’aiuto avuto per la presenza, fondamentale, di un buon legame tra pediatra di base, fisioterapista e chirurgo ortopedico.

Ha raccontato delle difficoltà immediate postoperatorie (tre settimane di terapia intensiva, difficoltà nei primi tentativi di ripresa del respiro spontaneo riuscita soltanto dopo il quarto tentativo di estubazione), dell’ottimo programma riabilitativo attuato nella fase postoperatoria sia ospedaliera che al rientro a casa, con valida pianificazione degli interventi in stretto legame tra famiglia, ospedale e sostegno domiciliare (cure infermieristiche e riabilitative) che ha consentito successivamente la programmazione con successo del rientro a scuola e ad una normale vita di tutti i giorni.

La mamma di Rachel ritiene che l’operazione sia stata un successo ed abbia posto le basi per un futuro di vita felice ed in buona salute.

Il disturbo locomotorio: ipotesi fisiopatologiche

Nella relazione finale del convegno il Prof. Masaya Segawa (Segawa neurological Clinic for Children, Tokyo, Giappone), importantissimo studioso del disturbo del movimento nella sindrome di Rett, ha messo in luce l’importanza della locomozione per lo sviluppo delle funzioni cognitive.

Secondo Segawa una disfunzione nei neuroni serotoninergici del tronco cerebrale comporterebbe nella prima infanzia una diminuzione del tono posturale ed una mancata attivazione di circuiti neuronali a livello del ponte e del sistema dopaminergico extrapiramidale con conseguente deficit di maturazione delle proiezioni alla corteccia frontale. Questa situazione anatomofisiologica sarebbe in grado di spiegare l’evoluzione del disturbo del movimento da un’iniziale ipotonia, verso un rallentamento od una perdita delle capacità di spostamento (a carponi e poi in piedi) e della funzionalità manuale con comparsa di stereotipie. La mancanza/regressione del linguaggio e il deficit cognitivo sarebbero spiegabili con l’interessamento successivo della corteccia cerebrale frontale.

Il disturbo motorio, sovente definito atassia, dovrebbe in realtà essere interpretato come un difetto da mancanza di attivazione dei meccanismi antigravitari.

Secondo Segawa il trattamento precoce del ritardo nella locomozione, già dal periodo degli spostamenti prelocomotori come il carponi o il rotolamento, potrebbe essere un intervento riabilitativo in grado di incidere positivamente sul decorso della sindrome di Rett.