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Mirtazapina, un farmaco per la sindrome di Rett?

le potenzialità del farmaco mirtazapina

Mirtazapina, un farmaco per la sindrome di Rett?

Grazie ad un finanziamento dell’Associazione AIRETT, un gruppo di ricercatori coordinati dal prof. Enrico Tongiorgi del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste, sta sperimentando in modellianimaliecellularidellasindrome di Rett le potenzialità del farmaco mirtazapina, un antidepressivo noto per la sua buona tollerabilità e rapidità di azione. In base ai promettenti risultati ottenuti in precedenza, AIRETT ha deciso di finanziare una ricerca presso l’Università di Trieste al fine di verificare le capacità curative di questo farmaco, destinando 32.000 euro. Il progetto si prefigge di testare mirtazapina nel modello animale, considerato come il più pertinente per la sindrome di Rett, rappresentato da topi femmine eterozigoti per il gene MeCP2, e di scoprire attraverso quale meccanismo questo farmaco è riuscito a recuperare alcuni dei principali sintomi dellasindromediRettneitopimaschi.
In uno studio preliminare, il gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste aveva dimostrato che nei topi maschi privi del gene MeCP2, sono sufficienti due settimane di trattamento con mirtazapina per normalizzare il ritmo irregolare della respirazione senza suscitare indesiderati effetti cardiovascolari associati ad altri antidepressivi. Questo studio aveva anche dimostrato che il trattamento con mirtazapina può ripristinare le normali dimensioni della corteccia cerebrale nei topi malati, contrastandone l’atrofia. Sia i problemi respiratori che l’atrofia neuronale sono stati osservati anche nelle pazienti Rett. Il progetto AIRETT per la mirtazapina, che ha raggiunto il giro di boa dei primi 6 mesi, rappresenta la continuazione di questi studi. I primi risultati, ricavati grazie al contributo AIRETT, mostrano come la somministrazione di mirtazapina ad un dosaggio superiore al normale utilizzo come antidepressivo, non produce miglioramenti significativi dei deficit neuronali ma induce un aumento del battito cardiaco, ed altri effetti indesiderati ascrivibili al sovradosaggio tra cui un effetto sedativo, già descritto negli esseri umani. Nei prossimi esperimenti, previsti in primavera, verrà testata la dose terapeutica corrispondente alla dose massima somministrabile nell’uomo, per tempi più lunghi e si cercheranno possibili miglioramenti nella sintomatologia tipica della Rett, come già osservato nei topi maschi. In parallelo, i ricercatori stanno studiando il meccanismo cellulare attraverso cui mirtazapina esercita la sua azione. È infatti necessario, per la trasferibilità di questo potenziale trattamento ai pazienti, che il trattamento con mirtazapina superi con successo la rigorosa valutazione preclinica da effettuare nel modello murino femminile, dimostrandosi efficace nel contrastare la sintomatologia e privo di effetti collaterali pericolosi.


Il prof. Tongiorgi spiega come è nata l’idea di utilizzare mirtazapina: “Siamo partiti chiedendoci come può la mutazione di un singolo gene provocare tanti sintomi nelle più diverse funzioni fisiologiche come respirare, parlare, camminare, fare uso delle mani, etc.. Una prima risposta è arrivata considerando l’atrofia del sistema nervoso che si osserva tipicamente nella sindrome di Rett. La parola atrofia deriva dal greco ed è composta di una aprivativa e del tema tropho (τρέφω) che significa ‘nutrire’ ed in biologia indica la riduzione di volume di un organo per cause fisiologiche o patologiche. Nella sindrome di Rett è stata evidenziata una diminuzione delle dimensioni dei neuroni ed una carenza di fattori trofici del cervello. Abbiamo quindi pensato di fornire un supporto alle cellule malate e gli antidepressivi come mirtazapina sono noti per avere un effetto trofico, di ‘nutrimento’, sui neuroni.”


Le informazioni sull’efficacia del farmaco nel modello animale femminile e sul suo meccanismo di azione, che si otterranno grazie a questo progetto, saranno essenziali per le autorizzazioni obbligatorie di legge necessarie ad intraprendere la sperimentazione clinica. Questa potrebbe così avere inizio presso i centri specializzati della rete ospedaliera AIRETT che hanno manifestato un potenziale interesse per il progetto.

I risultati sono pubblicati in ViViRett 80