Dieci anni di nuove scoperte

Convegno Lido di Camaiore 11 e 12 giugno 2005

giorgiopini_0I progressi della ricerca in Italia: dieci anni di risultati eccezionali che hanno completamente cambiato le conoscenze sulla sindrome di Rett e migliorato la qualità della vita delle pazienti

Sono trascorsi dieci anni dal primo convegno sulla sindrome di Rett tenuto in Versilia, il titolo era “Attualità sulla sindrome di Rett”. Quella ”attualità” è già vecchia.

Nessuna malattia, in un tempo così relativamente breve dalla sua scoperta, ha avuto un tale rapido progresso di conoscenza.

All’epoca anche il nome dell’associazione delle famiglie era diverso, l’AIR si chiamava ANGBSR. Allora era in discussione se la sindrome di Rett fosse una malattia degenerativa o una malattia dello sviluppo neurologico, era considerata malattia rarissima, non si conosceva il gene implicato, si lavorava sugli alberi genealogici per capire le modalità di trasmissione, si riteneva che la mortalità fosse molto elevata e si facevano tutti gli sforzi perché gli addetti ai lavori imparassero a riconoscere la sindrome e la distinguessero finalmente dall’ autismo.

Oggi al contrario si lavora per conoscere la connessione tra l’una e l’altro e proprio alla connessione tra autismo e sindrome di Rett è dedicato l’editoriale della rivista RSRFlash (primavera 2005), a firma di Tom Insel, direttore del National Institute for Mental Health statunitense, non per mettere in discussione l’identità e la specificità della sindrome di Rett, ma perché dalla conoscenza dell’una si possono aprire strade per la migliore comprensione dell’altro e dell’eventuale ruolo giocato dai geni anche nell’autismo.

Per quanto riguarda poi l’evolutività della malattia, oggi si esclude un meccanismo etiologico comune alle malattie degenerative, infatti dagli studi anatomopatologici non sono stati dimostrati segni di degenerazione, né processi infiammatori, mentre appare deficitaria la connessione tra i neuroni (le sinapsi) e la neurotrasmissione (in altri termini la comunicazione tra le cellule nervose) e si parla di una malattia dello sviluppo neurologico.

Il gene è stato scoperto ormai da 5 anni, se ne conoscono sempre meglio le funzioni, come avremo modo di ascoltare anche stamani, si conoscono casi in cui la mutazione non dà segni di sé o non comporta disturbi sovrapponibili a quelli della sindrome di Rett, ad esempio un lieve ritardo mentale o, nei maschi, una grave encefalopatia non compatibile con la vita. Inoltre nell’ultimo anno si è scoperto un altro gene che potrebbe giustificare una delle varianti della Sindrome, quella a comparsa precoce di epilessia grave. Il gene è chiamato STK9 o CDKL5. Purtroppo i medici talvolta usano parole o sigle differenti per indicare la stessa cosa.

Talora, al contrario, si usa una parola sola, ma in realtà si indicano cose diverse. Vale questo ragionamento per il MeCP2 e per la sindrome di Rett. Come abbiamo appena detto alterazioni del gene MeCP2 in alcuni casi possono coesistere con la “normalità” in altri causare disturbi assai diversi da quelli della sindrome di Rett. Mentre al contrario esistono casi clinici definiti come sindrome di Rett, classiche o varianti, che sono tali indipendentemente dal fatto che presentino o meno alterazioni del gene MeCP2. Per fare un po’ di chiarezza terminologica MeCP2 e sindrome di Rett non sono la stessa cosa e non devono essere usati indifferentemente.

Anche il dato della frequenza della malattia, grazie alla capacità di riconoscere forme atipiche e alla possibilità di fare diagnosi di certezza (test genetico) risulta aumentato: 1:10.000 femmine contro 1:15 -20.000 del decennio scorso.

Altrettanto si è cambiato giudizio sulle aspettative di vita: Alison Kerr, nel suo ultimo libro realizzato in collaborazione con Ingegerd Witt Engerstrom, scrive che la sindrome è compatibile con “una vita lunga, sana e felice”. Così come, contro vecchi pessimistici giudizi, dopo la regressione, è possibile che le bambine sviluppino una più ampia gamma di interessi, processi di apprendimento e capacità di scelta. Il convegno di oggi si propone pertanto di fare il punto sulle conoscenze fin qui acquisite e mostrare modalità di intervento efficaci, permettere il confronto tra gli operatori e offrire spunti per continuare la ricerca anche nel campo della clinica.

Per parte nostra in Versilia abbiamo elaborato un progetto operativo che è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra la AUSL 12 Viareggio e l’AIR e ad un finanziamento privato.

Il progetto prevede uno studio epidemiologico di area e l’attuazione di interventi non contemplati nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che vanno dalla musicoterapia alle attività in acqua, alla pet therapy ed alla rieducazione equestre. L’idea è anche quella di mettere un primo mattone per la costituzione di un centro Rett, un po’ suggestionati dal modello svedese: un centro con la capacità di valutare e trattare, ma anche con la vocazione a formare chi si occupa delle persone con sindrome di Rett.

Inoltre, stimolati da una discussione aperta proprio dalla rivista dell’ AIR e da colloqui con genitori che avevano partecipato a sperimentazioni all’ estero, o che in vari modi si erano approvvigionati di una sostanza farmacologica anche sostenendo costi elevati, abbiamo deciso di iniziare uno studio osservazionale sugli effetti della betaina.

Abbiamo organizzato nel nostro ospedale il reperimento e la confezione della sostanza ed iniziato l’osservazione: ottenuto il consenso informato dei genitori, abbiamo effettuato su ogni bambina una valutazione clinica, esami strumentali ed ematici, ed iniziato la somministrazione di betaina a dosaggi variabili da 3 a 9 gr al giorno.

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Il protocollo prevede controlli minimi semestrali per una valutazione clinica, esami ematici e strumentali, la somministrazione di una scala di valutazione semi quantitativa per misurare eventuali cambiamenti positivi o negativi in aree suscettibili di modifica, e la compilazione di un questionario per la farmacoviglianza.

Ad oggi 18 sono le bambine che hanno aderito al progetto. L’età era compresa tra i 4 ed i 21 anni, la provenienza geografica varia (dalla Sicilia al Trentino).

Dei 18 casi tre famiglie, per motivi personali, hanno rinunciato da subito al trattamento. Nessuna famiglia ha denunciato ad oggi effetti collaterali significativi (in un caso è stata segnalata la concomitanza di stipsi, in un altro del disturbo opposto).

La farmacia ospedaliera, dal dicembre 2003 ha confezionato inizialmente bustine da mg 300 (2400), quindi capsule da mg 500 (730) ed infine le capsule, oggi in uso da 750 mg (32100).

Possiamo presentare i risultati dell’ osservazione relativa alle prime dieci bambine che hanno iniziato il trattamento da almeno sei mesi.

Il metodo usato è stato quello di conteggiare i cambiamenti positivi o negativi registrati sulla scala di valutazione, avvalorate dall’esame clinico. Per ognuna delle variabili registrate è stato poi chiesto alle famiglie di quantificare la consistenza dei miglioramenti con un punteggio da uno a tre “più” o i peggioramenti da uno a tre “meno”. Abbiamo pensato di misurare il miglioramento della qualità della vita delle bambine come differenza tra la somma dei punteggi così ottenuti e la presenza di eventi sfavorevoli intervenuti durante l’osservazione.

I risultati possono essere così riassunti:

  • Tutte le bambine hanno ottenuto benefici dal trattamento con betaina, gli aspetti del miglioramento sono relativi all’ attenzione, migliorata in tutte e dieci le bambine, il contatto oculare migliorato nel 60% dei casi, così come il sonno (60%) e la comunicazione (80%).
  • Miglioramenti, meno consistenti, hanno riguardato la motricità (20%) e aspetti digestivi (40%).
  • Per non ingenerare false aspettative, voglio sottolineare che abbiamo registrato anche minimi cambiamenti, che tuttavia risultano riguardare una grande percentuale delle bambine. Tutte sono infatti migliorate, una volta intrapreso il trattamento, tutte le famiglie hanno chiesto di mantenerlo anche oltre i sei mesi ed un anno. Nessuna ha manifestato effetti collaterali. Tutte, credo, hanno migliorato la qualità della vita propria e della loro famiglia.

Mi sia consentito il ricordo di un ricercatore che 10 anni fa era qui con noi in Versilia, un genetista che lavorava all’Università di Ferrara, che ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca e alla sindrome di Rett, e che è scomparso nel 1999: il dott Mario Milan.

Nota: partecipano al Progetto Versilia numerosi operatori cui va il mio personale ringraziamento, tra questi le neuropsichiatre infantili Anna Maria Castellacci e Stefania Millepiedi; Stefania Goti, musicoterapista, Nicla Lari ed Eleonora Rossi (rieducazione equestre), Silvia Guizzardi (attività in acqua), Stefania Ricco (fisioterapista), Sara Vizzoni (educatrice), l’infermiera Paola Morescalchi ed il pediatra Alberto Benincasa.

Dott. Giorgio Pini, Direttore Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile – Ausl 12 Viareggio